cm. 114x134
Expertise a cura della Dott.ssa Federica Dallasta in data 28 novembre 2017.
Lettera autografia di C. Dwight Miller; perizia di Carlo Mancosu; Scheda tecnica Zamboni & Melloni.
"L'opera, proveniente da una collezione privata, potrebbe essere il bozzetto preparatorio per l'opera eseguita entro il 1614 da Bartolomeo Schedoni (1578-1615) per il convento cappuccino di Fontevivo (Parma), oggi conservata presso la Galleria Nazionale di Parma accanto all'altro dipinto che faceva pendant con questo: Le Marie al sepolcro.
Il dipinto in esame fu acquistato dagli attuali proprietari nel 1985 da una collezione privata di Parma [...].
L'anno successivo, nel maggio del 1986, una sua fotografia fu sottoposta al massimo esperto di Bartolomeo Schedoni, il docente universitario americano C. Dwight Miller, che pronunciò un parere molto favorevole sulla qualità dell'opera, ma non si sbilanciò con un'attribuzione certa allo Schedoni, sia perché non aveva avuto la possibilità di visionare direttamente la tela, sia perché le condizioni di conservazione non permettevano un giudizio definitivo. Lo studioso, tuttavia, suggeriva ai proprietari un restauro, che venne effettuato fra il 1987 e il 1988 della ditta Zamboni e Melloni di Reggio Emilia. In seguito Carlo Mancosu stese una perizia e una relazione tecnica, nelle quali riportava i pareri di Lucia Fornari Schianchi e di Daniele Benati, che nel frattempo avevano potuto osservare l'opera restaurata. Anch'essi lodavano il dipinto, ma non osavano pronunciarsi a favore dell'autografia.
Visionando la tela, le mie conclusioni sono a sostegno dell'ipotesi attributiva al maestro moenese, forse affiancato dalla sua bottega, dove lavoravano fratelli e allievi.
Le ragioni che mi inducono a considerare autografa l'opera sono:
1) La pennellata sfrangiata che si nota in diversi particolari dell'opera è quella tipica del pittore. La vediamo, in questo caso, nel manto della Maddalena, posizionata nella parte inferiore sinistra del dipinto; nel panneggio bianco di Cristo, che scende dal bordo del sepolcro al centro dell0opera; nelle dita della mano destra della Maddalena; nel manto di Nicodemo e in particolar e sulla sua spalla sinistra. Anche le ombre dipinte nell'angolo inferiore destro, vicino ai piedi di Nicodemo, sono realizzate con una tecnica simile.
2) Le dimensioni della tela sono esattamente la metà delle dimensioni dell'opera definitiva realizzata per Fontevivo (228x283). Questa considerazione potrebbe supportare l'ipotesi di un bozzetto preparatorio.
3) Appaiono numerose le differenze fra i due dipinti: nel bozzetto mancano i capelli biondi della Maddalena; il volto di Giuseppe d'Arimatea è tracciato in modo meno evidente, risulta più scuro e si staglia meno sullo sfondo; anche le nubi sul paesaggio cupo risultano meno visibili; sono assenti i ciuffi d'erba davanti e di fianco al sepolcro; i colori dell'opera sono meno luminosi, fuorché nel manto rosso di una delle donne pie e in quello di Nicodemo sulla destra; le differenze deporrebbero a favore dell'autografia della tela e della sua funzione di bozzetto preparatorio.
4) L'osservazione ravvicinata permette di apprezzare la bellezza di alcuni dettagli nei volti: quello di Cristo è reso in modo naturalistico, con la definizione minuta dei peli della barba e un sapiente gioco di ombre e di luci; il volto di San Giovanni Evangelista è esaltato nella sua espressione drammatica da un forte contrasto chiaroscurale; il volto della donna col manto rosso è degno del maestro modenese, così come quello di Nicodemo, che presenta tocchi rossastri sulla punta del naso e sulle guance.
5) Come nel dipinto per Fontevivo, anche in questo è stata mantenuta la differenza fra l'incarnato terreo dei morti (in Cristo e, di fatto, nella Madre, morta psicologicamente al centro geometrico della tela, avvolta nel suo manto scuro color blu) e dei vivi (tutti gli altri personaggi, che cercano di dar conforto alla Madre e di onorare il corpo di Cristo).
6) Come nel dipinto per Fontevivo è presente un forte contrasto chiaroscurale, appreso dallo Schedoni dall'esempio del Caravaggio e applicato nelle opere degli ultimi anni della sua carriera.
7) Le anatomie sono perfette, come del resto i panneggi. Un copista non sarebbe stato in grado di ottenere questo risultato.
8) L'insieme è dinamico, la gestualità è teatrale, i corpi sono inseriti in una successione di piani prospettici rigorosa: tutti elementi che ribadiscono l'elevata qualità dell'opera.
9) Lo sfumato correggesco è ben visibile e va considerato una cifra dello Schedoni, che esercitò a lungo l'attività di copista dalle opere di Antonio Allegri.
10) Si conoscono numerose copie dall'opera di Fontevivo, ma nessuna di essere raggiunge mai esiti confrontabili con il dipinto in esame."
Expertise della Dott.ssa Federica Dallasta